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Romanzi e Anime

Ultimo Aggiornamento: 16/05/2007 13:16
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Da Tezuka a Miyazaki: quando gli anime guardano alla letteratura europea

L'ultimo film del pluripremiato Hayao Miyazaki, Il castello errante di Howl, è tratto da un romanzo della scrittrice inglese Diana Wynne Jones. Non è la prima volta che gli animatori dell'attuale studio Ghibli cercano ispirazione nella letteratura europea per le loro opere. Già le serie televisive realizzate in passato dallo stesso Miyazaki e anche da Isao Takahata, Yoshifumi Kondo e colleghi hanno origine in Occidente: ‘Heidi’ (Alps no shojo Heidi, 1974) era l'adattamento del romanzo di Johanna Spyri, ‘Marco’ (Haha o tazunete sanzenri, 1976) addirittura si ispirava al libro Cuore di Edmondo De Amicis, ‘Anna dai capelli rossi’ (Akage no Ann, 1979) proveniva dalle pagine di Lucy Maud Montgomery, mentre ‘Il fiuto di Sherlock Holmes’ (Meitantei Holmes, 1984) nasceva naturalmente dal celebre personaggio di Arthur Conan Doyle. Per non parlare poi di ‘Conan, il ragazzo del futuro’ (Mirai shonen Conan, 1978), stupenda serie tratta da un modesto romanzo di Alexander Key.
L’adattamento, più o meno fedele, di racconti e romanzi d’origine occidentale avveniva frequentemente negli anni Settanta, quando gli animatori – così come gli autori di manga - vedevano nel proprio lavoro un aspetto educativo e documentaristico che oggi è quasi del tutto scomparso. Non a caso la carriera di Osamu Tezuka, che forse più di tutti i suoi colleghi era sensibile a questi elementi, ha avuto inizio proprio con un manga che sin dal titolo tradiva i suoi ‘debiti’ con la letteratura occidentale: Shin takarajima (‘La nuova isola del tesoro’).
Se le opere animate dei primordi si affidavano quasi esclusivamente a leggende e fiabe giapponesi - o nel migliore dei casi cinesi -, già nel 1965 la Toei Doga fece uscire nelle sale un lungometraggio intitolato Gulliver no uchu ryoko (‘I viaggi spaziali di Gulliver’), libera ‘ri-scrittura’ in chiave fantascientifica del romanzo di Jonathan Swift. Nel 1969 esce Nagagutsu o haita neko (‘Il gatto con gli stivali’) di Perrault, il cui protagonista diviene il simbolo della Toei Doga e ancora oggi compare su tutti i suoi prodotti.
Nel decennio successivo fanno la loro comparsa numerosi altri titoli. Per citare solo i più celebri, ricordiamo il buffo Pinocchio di Kashi no ki mokku ('Mokku della quercia', 1972), non troppo fedele allo spirito di Collodi così come il successivo remake del 1976, Piccolino no boken ('Bambino Pinocchio'); ‘Remì’ (Rittai anime ienaki ko, 1977) di Hector Malot; ‘Huckleberry Finn’ (Huckleberry no boken) di Mark Twain, che verrà saccheggiato anche nel 1980 con ‘Tom story’ (Tom Sawyer no boken); e in un certo senso anche il celebre Lupin III - la cui serie televisiva debutta nel 1971 - nasce dalle pagine di Maurice Leblanc, del cui personaggio è il diretto discendente.
Guardando indietro a queste produzioni, si possono evidenziare alcuni temi comuni che si ripetono negli anni. Prima di tutto, la forte presenza delle fiabe, un genere a cui spesso gli animatori si sono affidati per le loro opere -Disney docet. Passando da Esopo fino a Perrault, i giapponesi sembrano avere un debole per Hans Christian Andersen, le cui opere più celebri sono state oggetto di continui adattamenti animati sia per il cinema - a partire dal 1968 con la piccola fiammiferaia Andersen monogatari match uri no shojo, - che per la televisione con la Andersen monogatari, 52 episodi del 1971.
Un altro tema presente negli anime giapponesi ispirati dalle opere occidentali è un amore 'romantico' per il passato: raramente vengono scelte storie ambientate nei giorni nostri. Gli sceneggiatori preferiscono ricreare ‘sfondi’ storici che siano medievali o ottocenteschi. A questo si aggiunge, poi, un gusto per la rivisitazione in chiave fantastica o addirittura fantascientifica. Personaggi come Re Artù, Don Chisciotte o Marco Polo sono frequentemente immersi in un mondo senza tempo - dove l'ambientazione storica convive con meraviglie tecnologiche - e senza spazio - dove gli antichi cavalieri europei possono assomigliare a samurai piuttosto che a robot.
Oggi, se non mancano gli anime d’ispirazione europea, la maggior parte dei manga ha una matrice nipponica e l'invasione culturale sembra aver cambiato direzione: l'occidente va a scoprire e ‘saccheggiare’ la cultura orientale.

Christian Rainer (JapanAnimation)
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